Australia, stop ai social per gli under 16: un divieto simbolico che apre molti interrogativi
11 dicembre 2025 alle ore 15:04, agg. alle 15:11
Un divieto senza precedenti che promette sicurezza, ma rivela soprattutto contraddizioni e limiti delle soluzioni troppo semplici
AUSTRALIA, STOP AI SOCIAL PER GLI UNDER 16
L’Australia è diventata il primo Paese al mondo a vietare l’uso dei social media ai minori di 16 anni. Una misura che molti governi osservano con interesse, più per la crescente preoccupazione verso l’impatto dei social sui giovani che per prove definitive sui loro effetti. Ma il divieto australiano sta già mostrando quanto sia complesso trasformare una promessa di sicurezza in una realtà funzionante.
IL CONTROLLO NELLE MANI DELLE PIATTAFORME
La legge impone a piattaforme come Instagram, TikTok, YouTube e Snapchat di eliminare tutti gli account degli under 16 e impedirne la creazione di nuovi. Per farlo, le aziende devono utilizzare sistemi di verifica dell’età: riconoscimento facciale, analisi dei documenti, procedure automatiche.
FATTA LA LEGGE, TROVATO L'INGANNO
Il risultato, però, è stato altalenante. Molti ragazzini sono riusciti a superare i controlli con facilità, mentre altri – già sedicenni – sono stati erroneamente bloccati. Il governo ha ammesso che le imperfezioni erano previste e che l’obiettivo è “iniziare a proteggere”, non creare subito un sistema perfetto. Ma è proprio qui che emerge il problema: l’idea che un divieto formale basti, di per sé, a rendere più sicuro il digitale.
LE REAZIONI DELLE FAMIGLIE
Le reazioni delle famiglie lo dimostrano. Alcuni adolescenti sono rimasti esclusi dai propri gruppi di amici perché la piattaforma li ha classificati come troppo giovani. All’opposto, diversi genitori hanno spiegato ai figli come eludere i controlli tramite VPN o account per adulti, una contraddizione che evidenzia il divario tra la legge e i comportamenti reali.
VIETARE È SEMPLICE MA NON BASTA
Il rischio, infatti, è che una parte dei ragazzi si sposti verso spazi online più anonimi e difficili da monitorare. Oppure che l’uso di strumenti per “bypassare” le regole renda ancora più fragile la possibilità di proteggerli davvero.Gli studi sul benessere digitale ricordano che la vulnerabilità non dipende solo dall’età, ma da educazione, contesti familiari e modalità d’uso. Una soglia rigida è semplice da comunicare, ma ignora la complessità del problema.
La legge australiana diventerà probabilmente un esperimento osservato da molti Paesi. Ma il messaggio più importante è un altro: non esiste una regola facile capace, da sola, di risolvere un tema che coinvolge tecnologia, genitori, scuole e società.